Media, lobbisti, politici bloccano le leggi sulla Cina; La teoria della fuga di laboratorio avanza

La legge sulla Cina del Senato è stata ampiamente criticata per essere poco incisiva e per non affrontare realmente le minacce globali poste dal Partito Comunista Cinese (PCC). Il senatore Josh Hawley ha così proposto degli emendamenti per declassificare le informazioni sull’origine del coronavirus e aggiungere anche un dazio del 100 per cento sulle merci provenienti dallo Xinjiang, in risposta all’uso degli uiguri per il lavoro forzato.

Ho parlato con il dottor Anders Corr, esperto di sicurezza nazionale e editore del Journal of Political Risk, sul perché le politiche americane sulla Cina fanno acqua da tutte le parti. Egli ritiene che questo sia dovuto principalmente a politici, media e lobbisti.

“Non c’è molto impegno nel fare qualsiasi tipo di nuova legge in materia. In un certo senso, è come mettere la volpe a guardia del pollaio. Quando i parlamentari lasciano l’incarico, vogliono poter diventare lobbisti, e anche ben pagati: possono fare milioni di dollari all’anno… questo crea a Washington una situazione quasi permanente, che è molto difficile da eliminare”.
― Anders Corr

Perché la piccola nazione della Lituania è pronta a prendere posizione contro il PCC, mentre Paesi più potenti non lo sono?

Come possono gli Stati Uniti applicare il “principio di reciprocità” per “ripagare Pechino con la stessa moneta”? E qual è ora l’azione più urgente che serve attuare per contrastare le minacce su più fronti del PCC?

 
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